• Il referendum popolare sulle trivellazioni che si terrà domenica 17 aprile riguarda l’attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi nelle acque italiane
Secondo il ministero dello Sviluppo economico attualmente nei mari italiani ci sono135 piattaforme e teste di pozzo, per un totale di 66 concessioni attive. Di queste, 92 ricadono dentro le 12 miglia: sono quelle a rischio con il voto, ma solamente 21 concessioni sono attive entro le 12 miglia e perciò di interesse per quanto riguarda il referendum: una in Veneto, una nelle Marche, due in Emilia Romagna, due in Basilicata, tre in Puglia, cinque in Calabria e sette in Sicilia.
• Cosa sono le concessioni? Si tratta di permessi rilasciati dallo Stato alle compagnie e hanno una durata iniziale di trent’anni, prorogabile la prima volta per dieci, la seconda per cinque e la terza per altri cinque. La prima chiusura di una trivella entro le 12 miglia, in caso di voto positivo, avverrebbe perciò tra due anni, mentre per l’ultima bisognerebbe aspettare fino al 2034, data di scadenza dellaconcessione rilasciata a Eni ed Edison per trivellare davanti a Gela, in Sicilia.
• Chi sostiene il “si” lo fa perché ritiene che le estrazioni danneggino il turismo e che le quantità di petrolio e gas dei nostri mari siano troppo limitate per accettare il rischio di incidenti ambientali. In realtà non c’è possibilità che si ripeta lo scenario verificatosi nel Golfo del Messico nel 2010, ma viene ricordato che nel 1965, al largo di Ravenna, la piattaforma Paguro saltò in aria causando la morte di tre persone.
• Chi sostiene il “no”, come le società petrolifere, raggruppate sotto Assomineraria, ribatte con un dato: alle località della riviera romagnola, che ospitano circa 40 piattaforme, l’anno scorso sono state assegnate nove bandiere blu, simbolo del mare pulito. Senza contare che ridurre l’estrazione di idrocarburi dai giacimenti comporta maggiori importazioni: oltre all’impatto sulla bilancia dei pagamenti, questo aumenterebbe il numero di petroliere che transitano nei nostri mari, con tutti i problemi di inquinamento che ciò comporta. In più, nel lungo periodo si perderebbero migliaia di posti di lavoro tra diretti e indotto.
• Se vincerà il “sì” le piattaforme piazzate attualmente in mare a meno di 12 miglia dalla costa verranno smantellate una volta scaduta la concessione, anche in presenza di giacimenti non esauriti. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, né ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già proibite dalla legge.
• Se invece vincerà il “no” o se l’affluenza alle urne sarà inferiore al 50% la legge resterà immutata, le richieste di rinnovo delle concessioni saranno valutate secondo l’iter stabilito ed eventualmente prorogate.
• Secondo Giovanni Baroni, Amministratore Delegato di X3Energy, “Il Referendum in queste settimane sta acquisendo un forte valore simbolico, e il suo esito potrebbe rappresentare per gli organi legislativi e di governo una espressione di indirizzo politico anche per futuri provvedimenti.
• Un sì si potrebbe interpretare come la volontà degli italiani di rifiutare ogni tipo di attività legata agli idrocarburi, anche puliti come il metano, e ritenere che il PIL nazionale possa farne a meno eliminando anche tutto l’indotto e l’industria energivora quale carta, acciaio, prodotti per le costruzioni, chimica.
• Un no si potrebbe invece interpretare comela consapevolezza che l’economia del Paese non può sorreggersi esclusivamente su turismo, enogastronomia e cultura, senza però scendere a compromessi con la doverosa applicazione delle norme in ambito ambientale”.